Grazie, Fortuna.

Le parole della poesia sono difficili, al primo impatto sfuggono.
Ripercorse attanagliano e, quando sono parole di poesia, inebriano.
Quelle parole dei tizzi di crepuscolo scostano il drappeggio del banale che soverchia il nostro affanno quotidiano come polvere stantia e aprono ad immagini inconsuete.
Uno spazio di luce, una sconfinata brughiera; ma non si cada nell’inganno della felicità delle corse a perdifiato, il drappeggio apre alla gioia della sofferenza, allo sforzo supremo del coniare parole, all’effimero senso di appagamento nell’accatastarle.
E’ lo spazio del poeta che si delinea infinito e perciò terrificante.
Un’immensità di dati ai quali attingere, innumerevoli possibilità di combinazioni e la libertà di qualsiasi gioco, di ogni forzatura affinché rimanga una codificazione capace di graffiare l’anima.
Imbrattata di carminio e lacerata dalle spine la poesia si abbatte su di noi e ci ferisce là dove dovevamo essere feriti per lenire il male che ci logora.
Brutali devono essere le parole della poesia per scalfire la crosta di indifferenza che noi crediamo ci ripari ed invece ci espone al pericolo più grande.
Grazie, Fortuna.